Maleficamente Madre: Incontriamo Nathalie Luisoni

Incontriamo Nathalie Luisoni, autrice esordiente che ha pubblicato con bookabook il suo primo romanzo, un diario quasi, in cui molte mamme riconosceranno gli alti e bassi della propria esperienza. Racconti tragicomici per ricordarsi che è meglio affrontare la vita con un pizzico di ironia e, perché no, anche con un buon calice di Franciacorta a fine serata.

Leggere questo romanzo è anche un’occasione di riflessione su un tema sempre attuale e mai risolto, quello di un equilibrio tra maternità e vita (lavorativa, di coppia, amicale, etc).

Da dove nasce la necessità di scrivere questo libro?

Quando sono diventata mamma, ho avuto il privilegio di assaporare un mosaico di emozioni indescrivibili, ma parallelamente mi sono ritrovata a fare i conti anche con un costante senso di inadeguatezza, che inizialmente mi rifiutavo di accettare.

Con il trascorrere del tempo, mi sono resa conto che quella sensazione non apparteneva solo a me, ma era riflessa negli occhi della maggior parte delle mamme che conoscevo: dalla casalinga, alla top manager, all’impiegata, all’estetista, alla contabile…

È stato a quel punto che mi sono decisa a tradurre i miei pensieri in parole, ma soprattutto a utilizzare l’ironia come una forma di attivismo per “spodestare il nemico”: per esorcizzare quel maledetto senso di inadeguatezza che sembrava tenerci tutte in scacco.

Perché troppo spesso la maternità viene dipinta come una dimensione ovattata tutta borotalco, attività montessoriane e torte appena sfornate…. Peccato che si tenda immancabilmente a sorvolare sugli aspetti meno piacevoli della questione, a tralasciare che “di tanto in tanto” il carico emotivo schizza alle stelle, la dolce fermezza si dissolve e i sensi di colpa dilagano.

“Maleficamente Madre” punta a sconfessare questo trend e a restituire fiducia alle donne, spronandole a legittimare anche le emozioni più spiacevoli: quelle che, spesso, vengono tenute sotto chiave per il timore di sentirsi sbagliate, quindi non all’altezza di un compito per il quale non esistono manuali delle istruzioni, né verità assolute, né ricette preconfezionate.

Perché alle donne si chiede sempre se e come riescono a conciliare famiglia e lavoro, e agli uomini no?

Sono figlia di una donna che, quando il binomio mamma/casalinga era considerato la norma, già lavorava nell’azienda di famiglia come dirigente: un ruolo che l’ha costretta a fare i conti con svariate frecciatine “diversamente femministe” e a sperimentare un evidente conflitto interiore.

Da un lato, in ambito professionale, le era toccato sgomitare per farsi accettare da una società di stampo fortemente maschilista, dall’altro, quando indossava il cappello da mamma e veniva guardata con sospetto (se non con vera e propria disapprovazione) dalle “sue simili”, le era toccato fare buon viso a cattivo gioco, un bel respiro profondo e rendere omaggio a Dante sulla scia del detto “Passa e non ti curar di loro”.

Ebbene, si vocifera che la società sia cambiata, ma la verità è che, quarant’anni dopo, noi donne ci ritroviamo a fare i conti con le stesse dinamiche.

La differenza? Mia madre, all’epoca, costituiva effettivamente una “deviazione dallo standard”: noi oggi ci culliamo nell’illusione di non esserlo. Ma si tratta, appunto, di uno specchietto per le allodole.  Di un’illusione nella disillusione.

Il peggio è che non ci troviamo solo nella condizione di dover spiegare a chicchessia come diamine conciliamo famiglia e lavoro (una domanda che, per qualche arcano motivo, agli uomini non viene quasi mai rivolta), ma spesso ci sentiamo pure in dovere di giustificarci per le nostre scelte.

Perché abbiamo allattato troppo (o troppo poco!). Perché siamo tornate al lavoro troppo presto (o troppo tardi!). Perché non trascorriamo abbastanza tempo con i figli (o perché ne trascorriamo troppo!).

Un meccanismo che ricorda il film “Sliding Doors”, ma senza un lieto fine, perché qualsiasi porta decidiamo di aprire (o di NON aprire!), spesso e (mal)volentieri finiamo per sentirci comunque sbagliate. In difetto. Inadeguate. Costantemente alle prese con il timore di non rispecchiare le aspettative di una società che ostenta apertura e inclusione, ma in certi frangenti non potrebbe essere più chiusa e giudicante.

Qual è il momento in cui una donna si rende conto che la sua vita è cambiata e sarà solo mamma per molto tempo? 

Penso sia un’utopia stabilire un istante preciso, in cui una donna realizza che la sua nuova condizione è molto più simile a un contratto a tempo indeterminato, che a un impiego interinale.

È probabile che la mente logica lo percepisca sin dal principio, ma che le montagne russe emotive tipiche della maternità offuschino questa presa di consapevolezza, fissando il momento del “risveglio” (il fantomatico “appuntamento con la realtà”) in istanti diversi per ciascuna di noi.

C’è chi se ne rende conto prima ancora di essere incinta, chi se ne accorge in gravidanza, chi subito dopo aver partorito e chi lo capisce solo a scoppio ritardato: quando realizza che fare una doccia, lavarsi i denti o mangiare un’insalata scondita senza interruzioni possono rivelarsi imprese molto più pretenziose dell’(im)previsto.

E poi ci sono le sprovvedute come me. Quelle che non vogliono proprio saperne di arrendersi all’evidenza. Quelle che continuano a ripetersi che si tratta “semplicemente” di una fase e che, in un battito di ciglia, vedranno risplendere la tanto agognata luce in fondo al tunnel.

Un ragionamento che non farebbe una piega, se non fosse per un “insignificante” dettaglio: terminata una fase, ne inizia subito un’altra (che spesso ci spinge a rivalutare, se non addirittura a rimpiangere, la precedente).

Come si organizza questa risorsa incredibile chiamata “tempo”?

Sono convinta che dietro ogni mamma si nasconda una funambola, che ogni giorno lotta per districarsi tra un numero imprecisato di impegni senza (quasi mai) perdere l’equilibrio.

Ho sempre trovato estremamente accattivante l’idea di surfare sull’onda dell’improvvisazione, ma anche decisamente fuori dalla mia portata, visto che – da “buona” control freak – ho la mania di incasellare ogni appuntamento in tabelle di marcia che sfiorano l’ossessione.

I difetti di questa tendenza alla pianificazione compulsiva li conosco fin troppo bene, visto che ho perso il conto delle volte in cui è bastato un nonnulla (tipo l’immancabile capatina dal pediatra!) per mandare a gambe all’aria piani strategici che ritenevo invincibili, ma che alla resa dei conti si sono rivelati del flop indicibili.

La verità? Se sei una mamma, non importa quanto tu sia organizzata, quanto tu sia abile nell’anticipare gli imprevisti o di quanti aiuti tu disponga: il TEMPO resta la tua risorsa scarsa per eccellenza e… non ci sono formule magiche che tengano!

O magari esistono, ma io non le conosco, visto che nelle rare occasioni in cui si materializzano delle “ore buche” nella mia agenda, cado sempre nella stessa tentazione: mi rimbocco le maniche e… faccio oggi quello che dovrei fare domani!

Non è masochismo il mio, ma semplice autoinganno: mi convinco che, adottando questa strategia, il giorno successivo potrò effettivamente ritagliarmi del tempo per me stessa.

Peccato che il giorno successivo, in realtà, sarò troppo impegnata a indossare nuovamente la coroncina di “Miss Anticipazione” (e quindi a svolgere le incombenze del giorno dopo ancora!) per ricordarmi di onorare il mio buon proposito, al posto di sbrinare il freezer.

Ci dà tre tips per “mamme disperate ma che ce la vogliono fare”?

Preferisco raccontarvi una storia.

Qualche giorno fa, stavo cercando si supportare un’amica in preda ai sensi di colpa per essere sbottata con i figli di prima mattina: un messaggio vocale dopo l’altro, volevo aiutarla a mettere a tacere i suoi tormenti e a perdonarsi.

Il primo consiglio che le ho somministrato? Le ho ricordato che, in barba alle giornate negative, stava facendo del suo meglio e quindi avrebbe dovuto essere meno severa con sé stessa!

Ho poi rincarato la dose, dicendole che tutte noi dovremmo smetterla di giustificarci per essere umane: smetterla di sentirci in colpa per aver imposto ai nostri figli quali abiti indossare, per aver alzato la voce “troppo presto” o per aver perso la pazienza di fronte all’ennesimo “Tanto faccio quello che mi pare!”.

Ciliegina sulla torta? Ho concluso, sentenziando che dovremmo finirla di anticipare i presunti bisogni nostri figli, perché assecondandoli in tutto e per tutto non rendiamo loro un buon servizio!

E niente. Poche ore dopo questa arringa motivazionale, mi stavo scusando con mio figlio per essermi scordata di lavare il suo grembiulino di arte plastiche preferito!Della serie che “Chi predica bene, razzola male!” è acqua di colonia in confronto a questo exploit.

Morale della favola? Purtroppo non sono nella posizione di offrire suggerimenti, ma nonostante il mio fiasco indicibile, continuo a credere ciecamente nella veridicità di questi tre tips!

Al suo primo libro, pubblicato con la casa editrice bookabook, l’autrice Nathalie Luisoni fa un regalo alle mamme che vivono tutti i giorni una maternità complicata, con un invito a sdrammatizzare.

Bookabook è la casa editrice che mette il lettore al centro della vita del libro. I libri del catalogo di Bookabook sono stati scelti due volte: la prima da una redazione di professionisti, la seconda dai lettori, che hanno la possibilità di leggerli in anteprima e di contribuire, attraverso il passaparola, a scriverne il successo e a portarli sugli scaffali delle librerie. Per conoscere meglio il catalogo di bookabook clicca qui https://bookabook.it/opinioni-recensioni/.

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